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TRA VILIPENDIO E LIBERTA' DI PENSIERO


Tra vilipendio e libertà di pensiero

In questi giorni i giornali e le televisioni riportano nelle loro prime pagine la notizia che la polizia postale sta cercando di individuare chi ha "vilipeso", su i social network, il presidente della Repubblica. Il reato di vilipendio nasce già nel codice Zanardelli del 1889. Durante il periodo fascista fu non solo conservato come reato ma fu anche "rafforzato "considerandolo delitto contro la personalità dello Stato. In contrapposizione al vilipendio vi è La libertà di pensiero, che è un diritto riconosciuto in quasi tutte le moderne costituzioni democratiche. L'articolo 21 della nostra Costituzione prevede che "ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini e di informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. " Ci si chiede: nel 2013 è ancora applicabile il reato di vilipendio? Qual è il confine che passa tra la possibilità di trovarsi in un aula di tribunale con quello di esprimere liberamente un proprio pensiero garantito? Tutti quelli che la pensano in modo “liberale” eliminerebbero tout court questo illecito perché è sicuramente in rotta di collisione sia con la realtà democratica di oggi sia con il dettato normativo. Chi offende un individuo, sia esso pubblico (vilipendio) che privato (offesa), potrà sempre essere giudicato per aver oltraggiato la reputazione, la rispettabilità della persona, ma continuare a differenziare "l'onore" del presidente della Repubblica con l'onore del comune mortale è fuori della realtà quotidiana e anacronistico con la realtà storica!
Qual è, allora, la differenza che passa tra la libertà di pensiero e l'offesa? Ci s’interroga: ebbene non si potrà mai parlar male di una persona? Se la domanda è posta in questi termini la risposta, non può essere che una sola: Non si può parlare male di nessuno!
Il diritto riguardante la libertà di parola, anche se costituzionalmente protetto, non deve ledere i diritti di altri soggetti. Si può contestare e asserire, anche animosamente, di non essere d'accordo, ad esempio, sul modus di operare di un giudice in un determinato procedimento; che in quella data condizione ci si poteva comportare in un modo totalmente diverso e via discorrendo. Entro questi termini sto esercitando una mia libertà di pensiero e nessuno potrà impedirmela; se invece dico che quel determinato inquirente non capisce nulla, che sta commettendo abusi, che è prevenuto allora rischio qualche querela proprio da parte di quel magistrato per averlo "offeso". Si possono dire le stesse cose senza incappare nei rigori della legge, basta solo essere attenti a non diffamare l’altrui onore ovvero infamare chi riteniamo meritevole del nostro biasimo. Quanto fin qui esposto a maggior ragione vale per il reato tipico del vilipendio, che come già detto, andrebbe abrogato per il solo fatto che vi sono altre tipologie d’illeciti simili, puniti con appropriate sanzioni.

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