In materia Tributaria: le Sanzioni non sono
dovute se la norma è dubbia
L’esistenza di precise istruzioni ministeriali non implica
necessariamente che la norma cui esse si riferiscono debba ritenersi chiara e
certa, giacché i documenti di prassi dell’Amministrazione Finanziaria non
costituiscono fonte di diritto, ben potendo, quindi, sussistere comunque
un’incertezza normativa idonea a escludere l’applicazione delle sanzioni in
caso di violazione della norma tributaria. La Corte di Cassazione, con
l'ordinanza n. 29401 del 28 dicembre 2011 ha ribadito che l'esistenza
d'istruzioni ministeriali - circolari - risoluzioni non costituiscono fonti del
diritto e, pertanto, non possono dare a una norma la chiarezza e la certezza
voluta dal legislatore fiscale prevista dall'art 8 del D.Lgs. 546/1992, in
virtù del quale la commissione tributaria può dichiarare non applicabili le
sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è
giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito
di applicazione delle disposizioni alle quali fa riferimento.
La peculiarità di questa sentenza sta prima di tutto nel fatto
che, non ostante i due gradi di giudizio precedenti, il contribuente convinto che
la sua "interpretazione" data alla norma era corretta, appellava
anche la decisione dei giudici di secondo grado, innanzi alla suprema Corte di
Cassazione che con la sentenza sopra riportata, accoglie le motivazioni del
contribuente ed annulla le precedenti sentenze, senza rinviarle ad altra sezione,
oltre a riaffermare un importante principio già ribadito nella sentenza del
2007.
Il fatto: i giudici di
prime cure stabilivano che, nella fattispecie trattata, non sussisteva
l’asserita incertezza della norma invocata dal contribuente, poiché l’Amministrazione
Finanziaria aveva compiutamente riferito sulla materia trattata, con
riferimento alle istruzioni ministeriali fornite e puntualmente richiamate
negli atti dell’Ufficio. In definitiva i
giudici hanno ritenuto valide le motivazioni dell’Ufficio che poggiavano
essenzialmente su un’adeguata presenza d’istruzioni ministeriali che
eliminavano, secondo il loro assunto, l’incertezza sull’applicazione della
norma.
Nella sentenza finalmente è riaffermato, ove ce ne fosse ancora
bisogno, che l’attività interpretativa che l’Amministrazione Finanziaria
produce (con la raccolta in risoluzioni, circolari, prassi, istruzioni), non
possono in nessun modo assurgere a fonte di diritto e, quindi, non possono
vincolare né il contribuente, che è libero di interpretare in modo diverso la
stessa disposizione normativa, né tanto meno il giudice tributario (cfr. Cass.
21154/2008).
Il principio riconosciuto dagli Ermellini metterà fine
alla costante pratica che vede gli uffici ricorrere sistematicamente, per
rafforzare il loro assunto nei loro atti impositivi, a far riferimento a
circolari ministeriali o risoluzioni o addirittura alle istruzioni
ministeriali? La suddetta produzione “letteraria” è da considerarsi alla
stregua di atti giuridicamente “inesistenti” (si ricorda che il cittadino è
soggetto, per norma costituzionale, “esclusivamente” alla legge) e,
poiché quelli richiamati sono atti amministrativi che spiegano “efficacia” solo
nei confronti dei dipendenti Uffici periferici con la funzione “esclusiva” di
dar loro un uniforme indirizzo comportamentale da valere, possibilmente, su
tutto il territorio nazionale.
E’ pacifico che se una norma è
poco chiara questa non può essere “interpretata” con documenti amministrativi che
provengono, per giunta, dalla stessa A.F., ma deve essere valutata dalle parti sulle
quali ricadono gli effetti ovvero dai giudici che devono “applicare” la legge e
non la circolare, in piena autonomia, senza l’ausilio d’interpretazioni
esterne, necessariamente di parte.
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